Le elezioni in Nigeria, tra fragilità e competizione

di Angelica Dal Farra 

Il 1° marzo 2023 Bola Ahmed Tinubu, del partito All Progressives Congress (APC), è stato dichiarato vincitore delle elezioni presidenziali svoltesi il 25 febbraio 2023 in Nigeria. A darne la comunicazione ufficiale, è stato l’Independent National Electoral Commission (INEC), ente specifico volto alla supervisione delle elezioni e dei partiti politici, ruolo peraltro sancito dalla Costituzione nigeriana del 1999, anno in cui sono state reintrodotte le elezioni multipartitiche a seguito del governo militare. Tinubu sancisce così, almeno formalmente, la successione ai due mandati presidenziali di Muhammadu Buhari, anche lui parte dell’APC. A seguito della rinnovata, sebbene relativa, supremazia dell’APC, le opposizioni hanno immediatamente comunicato la loro contrarietà ai risultati attraverso una conferenza stampa, nella quale hanno definito le elezioni “una farsa, aggiungendo che sono state semplicemente “vote allocation and not collation”, cioè una distribuzione di voti più che una vera e propria votazione democratica.

Bola Tinubu (credits: Wikimedia Commons)

Il quadro elettorale

I candidati alla carica suprema della Repubblica presidenziale e federale della Nigeria erano 18, ma fin dai primi sondaggi, i politici che prospettavano probabilità concrete di ottenere la vittoria erano principalmente 3. Innanzitutto, Bola Tinubu, come già accennato esponente dell’APC, il partito maggioritario portatore di istanze di centro-sinistra, era già rinomato come “padre del Lagos moderno grazie ai suoi due mandati come governatore dello Stato federato del Lagos, i quali gli hanno permesso di acquisire una forte influenza sia sui suoi territori che in Nigeria, ma allo stesso tempo ciò ha fatto sì che gli venissero additate varie accuse di corruzione e clientelismo. Il principale partito di opposizione, generalmente caratterizzato da posizioni di centro-destra, lo identifichiamo nel People’s Democratic Party (PDP), il cui leader in corsa era Atiku Abubakar, vicepresidente di Olusegun Obasanjo (PDP) dal 1999 al 2007 e importante uomo politico e d’affari nigeriano. Infine, Peter Obi concorreva per il Labour Party, precedentemente chiamato Party for Social Democracy (PSD), il quale non essendo un partito particolarmente diffuso tra i cittadini nigeriani, si è proposto come una novità, sia d’immagine che di programma elettorale, il cui caposaldo era lo scardinamento del sistema partitico bipolare, catalizzando così principalmente l’attenzione delle fasce giovanili della popolazione.

Atiku Abubakar (credits: flickr.com)

Oltre alla frammentazione politica, ciò che rimane un caposaldo della partita elettorale è l’eterogeneità etnico-religiosa tipica delle realtà africane. La Repubblica nigeriana conta circa 250 gruppi etnici, di cui 3 sono i maggioritari: gli Hausa-Fulani nel Nord, gli Yoruba nel Sud-Est e gli Igbo (o Ibo) nel Sud-Ovest. Inoltre, le varie etnie si possono approssimativamente distinguere nelle due religioni principali che incontriamo in Nigeria, ossia il settentrione a prevalenza islamica e il meridione a maggioranza cristiana, nonostante una parte dell’etnia Yoruba aderisca all’islam. L’appartenenza, quindi, ad un gruppo etnico piuttosto che un altro è motivo di voto e di sentita rappresentanza, oltre a costituire un chiaro motivo di tensioni sociali e politiche, basti pensare alla Guerra civile della Nigeria, ricordata anche come Guerra del Biafra (1967-1970), risultato, tra le altre cause, di forti polarizzazioni etniche. Proprio in virtù di ciò, uno dei principi consuetudinari della politica nigeriana è la cosiddetta “zonizzazione, cioè la rotazione delle cariche politiche in base all’appartenenza regionale. Per la carica presidenziale, quindi, l’alternanza dovrebbe avvenire tra un presidente meridionale e cristiano, e uno settentrionale e islamico. Già in passato la violazione di questa norma scatenò forti violenze, e la vittoria di Tinubu vede la rinnovata rottura di questa consuetudine, almeno in parte. L’ex Presidente Buhari era esponente del Nord e dell’Islam, mentre Tinubu è sì rappresentante Yoruba (sud-est), come dimostra anche il suo slogan elettorale in lingua Yoruba “Emi Lokan” (“È il mio turno [di essere presidente]”), ma è di fede islamica. Per ovviare a questa problematica, sia il candidato dell’APC che del PDP hanno candidato come vicepresidenti personalità provenienti da zone geografiche opposte alla loro. Ovviamente i fattori che influenzano il processo decisionale degli elettori non sono meramente basati su caratteristiche etniche e religiose, ma ciò gioca un ruolo fondamentale, soprattutto nel momento successivo alle elezioni, quando la popolazione e le forze politiche in campo devono accettare il nuovo leader in carica.

Mappa sommaria dei gruppi etnici maggioritari della Nigeria (credits: Wikimedia Commons)

È stata proprio l’accettazione dell’esito elettorale che ha scatenato immediate contestazioni e denunce di brogli elettorali, approdando addirittura alla Corte Suprema della Nigeria. Il leader del Labour Party Peter Obi, infatti, si è rivolto alla giustizia per denunciare il processo, secondo lui illegittimo, che ha portato alla dichiarazione della vittoria di Tinubu. In seguito, anche Abubakar (PDP) ha annunciato la volontà di seguire la linea operativa di Obi. Fino ad ora nessuna elezione presidenziale in Nigeria è mai stata invalidata dalla Corte Suprema, nonostante i casi presentati siano stati disparati, tra gli altri anche il ricorso contro l’elezione dell’ex Presidente della Repubblica Muhammadu Buhari. Gli osservatori delle elezioni dall’Unione Europea e dal Commonwealth hanno effettivamente rilevato delle incongruenze e dei malfunzionamenti nello svolgimento delle elezioni, in particolare a causa dell’INEC, il quale avrebbe dovuto essere l’organo di garanzia del processo elettorale, volto a prevenire voti corrotti, estorti o impediti. Al contrario, la sua inefficienza è tra le prove principali allegate all’accusa penale di Obi, ed ha reso l’accesso al voto molto più complicato: la votazione avrebbe dovuto svolgersi tramite un dispositivo elettronico fornito per l’appunto dall’INEC, in modo da poter immettere in tempo reale i risultati sul web, ma la lentezza del caricamento dei voti sulla piattaforma internet ha fatto sì che si creassero code interminabili fuori dalle urne e soprattutto gravi eliminazioni o alterazioni delle votazioni, spesso a favore del partito dominante in un determinato seggio. In più, sono stati anche denunciati dei ritardi nell’arrivo dei funzionari dell’INEC in alcuni Stati meridionali, non garantendo così il funzionamento corretto delle urne. 

Nonostante le varie accuse, è molto complicato fornire prove sostanziali e soprattutto farle accettare dalla Corte Suprema, la quale, a partire dal 31 marzo 2023, ha 180 giorni per esprimersi sulla disputa, anche se probabilmente non riuscirà ad enunciare il verdetto entro il 29 maggio 2023, data in cui Bola Ahmed Tinubu entrerà ufficialmente in carica come Capo di Stato. 

 

Questo clima di incertezza e poca trasparenza si inserisce in un quadro già piuttosto travagliato a causa della crisi finanziaria e politica, ragioni che hanno alimentato la sfiducia nella classe governante, le tensioni sociali e la violenza organizzata: oltre alla più famosa insurrezione jihadista condotta nel Nord-Est da Boko Haram e dall’Islamic State West Africa Province (derivante da Boko Haram), sta riemergendo anche il separatismo armato nel Delta del Niger, area che a seguito della Guerra del Biafra non si è mai stabilizzata totalmente, tornando così ad essere focolaio di violenze nelle regioni sud orientali. Nonostante ciò, sembra che le elezioni si siano svolte in un clima di relativa tranquillità, anche se, al contrario di quanto ci si aspettasse, l’affluenza alle urne è stata del 26.7%, la più bassa di sempre per un’elezione presidenziale in Nigeria. Ciò ha tristemente confermato la tendenza alla disaffezione verso il voto, la quale getta ulteriori ombre su quello che dovrebbe essere un processo di stabilizzazione democratica di un sistema ancora debole.

Regione del Biafra, delineata in giallo (credits: Wikimedia Commons)

La sua importanza internazionale

Colosso produttivo del petrolio e Nazione con l’economia più vasta dell’Africa, la Nigeria si propone come un importante partner internazionale, che intrattiene relazioni economiche e politiche con Stati quali Cina, Stati Uniti, Regno Unito e Russia, ma anche con varie economie emergenti. Tra coloro che finanziano lo Stato africano non può mancare l’Unione Europea, a cui fanno capo Francia e Germania come principali donatori, secondi solo agli USA e alla Gran Bretagna. Risulta chiaro come l’interesse dell’UE in Nigeria veda varie sfaccettature: se da un lato si parla di promozione e protezione della democrazia e della libertà, dall’altro si sostanziano questioni fondamentali come il controllo delle migrazioni, il petrolio e la lotta all’estremismo. Il Paese saheliano, d’altronde, si pone come protagonista dell’EU Emergency Trust Fund for Africa, poiché risulta uno degli Stati di provenienza della gran parte dei migranti irregolari che approdano in Europa. La Repubblica nigeriana è considerata fondamentale anche dagli Stati Uniti, i quali ritengono lo Stato un mezzo fondamentale per la lotta al fondamentalismo islamico nell’Africa Occidentale; non è un caso, difatti, che sia la Nazione africana ad ottenere i maggiori investimenti e finanziamenti statunitensi nel continente. 

Non può poi mancare l’eredità coloniale, che vede il Regno Unito, ex potenza imperialista, ancora fautore di importanti legami commerciali, sebbene abbiano subito un crollo negli ultimi anni a causa delle accuse di violazioni dei diritti umani delle forze governative, e dei vari scandali emersi in Gran Bretagna riguardanti il ruolo controverso delle aziende petrolifere britanniche nell’inquinamento e deterioramento dell’area del Delta del Niger, regione importante per l’estrazione del greggio. Inoltre, negli ultimi vent’anni sono enormemente aumentati gli interventi della Cina nella regione, investendo principalmente nelle infrastrutture e inserendo la Nigeria nel Belt and Road initiative.

Pertanto, l’esito del processo elettorale appare imprescindibile non solo per lo sviluppo interno della Repubblica, ma anche perché la sua stabilità implica il mantenimento delle relazioni internazionali, le quali appaiono rilevanti bilateralmente, da un lato per il sostentamento stesso dello Stato, dall’altro per perseguire obiettivi politici e finanziari. 

Nigeria, cammino faticoso verso la democrazia?

Le elezioni in un sistema democratico debole si sostanziano evidentemente in un processo tortuoso, che vede molte variabili influenzare il suo corso. In uno Stato come la Nigeria si inseriscono le differenze etniche e religiose, ma anche delle difficoltà strutturali, come la violenza organizzata e l’alta inflazione, complesse da arginare e tanto più da risolvere. Difficile è supporre se questo esito elettorale si consoliderà effettivamente oppure se sarà motivo di ulteriore destabilizzazione, non si sa quindi se  la democrazia andrà a ritroso  se riuscirà a procedere. Sicuramente ogni azione democratica, come quella di recarsi alle urne, crea una società più consapevole dei propri diritti, ma il quadro è estremamente complesso: se da una parte la sua importanza, anche internazionale, presuppone l’impiego di tutti i mezzi possibili per non giungere al fallimento democratico, dall’altra la volubilità sociale e politica non fa ben sperare.