La rovina di Haiti

di Elena Sofia Brandi

La storia di Haiti è quella di uno Stato che sta pagando, a caro prezzo, le conseguenze delle atroci vicende trascorse sin dalla sua nascita. La preziosa ex-colonia francese fu la prima repubblica ‘nera’ al mondo, dichiarando formalmente la propria indipendenza nel 1804 dopo anni di schiavitù e rivolte. Da allora, la guerra civile ha continuato ad essere una costante come l’altalenante assetto socioeconomico e la diffusa corruzione. Tutt’oggi teatro di numerose crisi umanitarie e climatiche, Haiti è incontestabilmente il frutto del giogo coloniale occidentale.

L’isola caraibica di Hispaniola, situata tra Cuba e Portorico, subì originariamente la dominazione spagnola con l’arrivo di Cristoforo Colombo, e all’inizio del XVII secolo vide l’insediamento dei francesi ad Ovest. Le potenze si divisero il territorio, fondando due realtà che, per quanto interconnesse, ancora oggi hanno storie, culture, lingue ed economie ben distinte: la Repubblica Domenicana e quella di Haiti.

Rivoluzione haitiana - Schiavi neri che uccidono gli schiavisti bianchi (Credits: Wikimedia Commons)

Dopo la sanguinosa insurrezione degli schiavi, l’imposizione della supremazia mulatta e la presidenza del generale Toussaint Louvertoure, Parigi riconobbe ufficialmente la sovranità Haiti nel 1825 in cambio di un ingente risarcimento che il piccolo Stato riuscì a saldare solo nel 1947. Nonostante l’importo venne ridotto in un secondo momento, l’indennizzo preteso dai francesi fu senza alcun dubbio una delle principali cause che contribuirono al vertiginoso declino dell’economia haitiana. In seguito, si succedettero innumerevoli e violentissime crisi interne, tanto che nel 1915 indussero gli Stati Uniti ad invadere il territorio. Questi ultimi avevano già da tempo  affermato i propri interessi e, tramite l’applicazione di dazi sui prodotti agricoli e un’importante controllo delle finanze, provocarono ulteriori ostacoli allo sviluppo del paese.

La presenza statunitense fu decisiva fino alla seconda metà del ‘900, quando ebbe inizio la terribile dittatura di François Duvalier, detto “Papa Doc”, succeduta da quella del figlio Jean-Claude, “Baby Doc”. Successivamente, si instaurano quasi esclusivamente governi precari, ci furono colpi di stato e proteste popolari, presidenti e capi di governo dimessi (o costretti a farlo), oltre che una corruzione dilagante. Fu negli anni ‘90 che la questione haitiana assunse una maggiore rilevanza sul piano internazionale: nel 1993 il Consiglio di Sicurezza dell’ONU impose un embargo commerciale e permise, l’anno successivo, l’attuazione di un nuovo intervento americano.

La turbolenta storia di Haiti è ciò che la rende così peculiare rispetto agli Stati circostanti. La zona è in effetti ciclicamente esposta agli uragani caraibici, ma ciò non rende i suoi vicini fragili quanto lo è questo paese. Il terremoto di magnitudo 7.0 del gennaio 2010, con epicentro a pochi chilometri dalla capitale Port-au-Prince, è considerato tra i primi al mondo per numero di vittime. In aggiunta, nell’ottobre dello stesso anno è scoppiata una gravissima epidemia di colera che oggigiorno continua a colpire parte della popolazione, e nel 2016 l’uragano Matthew, il più potente dell’ultimo decennio, ha ampiamente devastato il territorio.

L'allora First Lady Michelle Obama saluta i bambini in un centro per sfollati a Port Au-Prince - 13 Aprile 2010 (Credits: Wikimedia Commons)

L’attuale percezione della comunità internazionale rispetto al contesto hatiano è quella di una realtà piegata dalle catastrofi che ha subito, con pochissime ed inadeguate infrastrutture, in cui anche le ONG operano riscontrando enormi difficoltà. È evidente la pessima gestione fatta degli aiuti esteri, ed in tal senso è chiaro persino quanto abbiano inciso le mancate assunzioni di responsabilità da parte degli altri attori esterni coinvolti. Le condizioni sanitarie sono pessime ed i cittadini, ridotti alla fame, risentono non di meno delle pericolose attività svolte dalle bande criminali, strettamente legate all’aspetto politico.

Negli ultimi anni, il potere delle gang sembra essere aumentato anche grazie alle armi ed ai finanziamenti che l’ex presidente Jovenel Moïse, assassinato il 7 luglio 2021, avrebbe fortino loro in cambio di sostegno. Da allora, l’impopolare Ariel Henry ha faticosamente guidato il paese sino al febbraio 2024 quando le queste, per la prima volta coalizzate tra loro, hanno scatenato un’ondata di violenze ed assunto il controllo di gran parte del territorio (e dell’80% della capitale). Mentre l’ormai dimissionario Henry si trovava a Nairobi per stringere accordi con il Kenya, che appoggiato dall’ONU avrebbe dovuto guidare un’operazione di peacekeeping, le bande hanno assaltato porti, prigioni, strade, stazioni di polizia e aeroporti. Nei giorni seguenti hanno bloccato i rifornimenti di carburante, energia e cibo, compromettendo i servizi essenziali, al fine di far cadere il governo e stabilire la propria supremazia.

Jimmy "Barbecue" Cherizier, 2023 (Credits: Wikimedia Commons)

Ad oggi la stessa Haiti, che un tempo era la più rigogliosa colonia del Nuovo Mondo, è in mano alle organizzazioni criminali. Le pochissime forze dell’ordine attive sono sprovviste di una reale protezione e, dopo che Stati Uniti e ONU hanno sollecitato il rientro di cittadini e personale “non essenziale”, il nuovo “governo di transizione” ha esteso lo stato di emergenza. I principali leader politici stanno patteggiando con i gangsters e lavorando per far sì che si svolgano al più presto delle elezioni democratiche, ma di fatto coloro che detengono il potere sono i capi delle bande. Tra di essi, l’ex comandante di polizia Guy Philippe e soprattutto l’ex ufficiale Jimmy Chérizier, detto Barbecue, sono tra le figure più temute ed autorevoli. 

L’odierno scenario hatiano è nel complesso desolante. Recentemente, la comunità internazionale sta cominciando ad assumere una crescente consapevolezza e, di conseguenza, a farsi carico di quanto sta avvenendo. La vicina Repubblica Dominicana risente della pressione migratoria e si propone di velocizzare la costruzione di un muro lungo il confine che, in ogni caso, se non adeguatamente sorvegliato sarebbe pressoché inutile. Tuttavia, la speranza è che questo paese possa risorgere, che la popolazione riesca ad abbandonare la fragile condizione in cui è costretta a sopravvivere, confidando nel fatto che la solidarietà mostrata nei loro confronti evolva in un concreto ed efficace piano di aiuti.

 

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