Una settimana in dieci notizie: 7 aprile - 13 aprile 2024

di Francesco Sitta e Frida Turco 

Le notizie di questa settimana ci confermano come, in un mondo sempre più interconnesso, le alleanze internazionali e le dispute diplomatiche plasmano costantemente il panorama globale. Mentre la Somalia rafforza il suo legame con Ankara, Messico ed Ecuador si distanziano con la rottura delle relazioni diplomatiche. Nel frattempo, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo dà voce alle attiviste svizzere per il clima, mentre in Sudan l’incessante crisi provoca un massiccio esodo. La Russia riaccende la sua ambizione nel controllo dell’Artico, mentre in Vietnam una frode miliardaria porta a una sentenza estrema

L’Europarlamento riconosce l’aborto come diritto fondamentale, mentre inondazioni colpiscono Russia e Kazakistan. Le tensioni crescono anche in Italia, con i sindacati dei giornalisti RAI che protestano contro il governo Meloni, mentre un attacco iraniano scuote Israele.

 

07 aprile: Turchia e strategie geopolitiche – la Somalia estende la propria alleanza con Ankara

La prima notizia della settimana vede come protagoniste la Turchia e la Somalia in procinto di concludere un nuovo accordo politico-militare. Il Consiglio dei Ministri somalo ha ratificato un nuovo accordo marittimo con Ankara che si impegnerà, per i prossimi 10 anni, a proteggere le acque territoriali somale. Tutto ciò, però, non è una novità.

La Somalia, infatti, per la difesa dei suoi territori ha da sempre fatto ricorso all’aiuto di partner internazionali, arrivando ad ospitare oltre 15 mila truppe di forze straniere, la maggior parte delle quali, provenienti dall’African Union Transition Mission (ATMIS). Per quanto riguarda l’ambito marittimo, ad oggi, la Somalia si trova ancora sprovvista di forze navali necessarie alla messa in sicurezza delle sue coste, punto di notevole interesse per via della presenza di minerali e materie prime preziose e di grandi quantità di pesce.

Scatto di uno dei tratti costieri della Somalia soggetto alla sorveglianza turca (credits: flickr)

È proprio qui che entra in gioco la Turchia, che già dal 2009 opera al largo delle coste somale con lo scopo di prevenire e disincentivare la pesca illegale. L’ultimo accordo, in particolare, provvederà all’addestramento e all’equipaggiamento di truppe atte alla salvaguardia della stabilità del paese da agenti stranieri, terrorismo e pirateria, in cambio del 30% delle entrate della suddetta area economica.

L’accordo, dunque, non rappresenta altro che l’estensione di una partnership già esistente e consolidata nel tempo con Ankara, la quale, a sua volta, considera tale opportunità in ottica di influenza e competizione con gli Emirati Arabi Uniti e gli Stati arabi del Golfo. La Somalia, infatti, è uno stato altamente strategico per l’accesso al Mar Rosso, essendo situata sulle rive dell’Oceano Indiano e del Golfo di Aden.

 

08 aprile: Messico e Ecuador – assaltata l’ambasciata messicana; i due paesi rompono le relazioni diplomatiche e il Messico fa ricorso alla CIG

Il tragico evento ha avuto luogo il 05 aprile, quando la polizia ecuadoregna ha assaltato l’ambasciata messicana di Quito al fine di arrestare l’ex presidente ecuadoregno Jorge Glas. Questo, in carica dal 2013 al 2017, avrebbe tentato di rifugiarsi nella sede diplomatica messicana per scappare al mandato di arresto per corruzione posto dallo stato dell’Ecuador.

Per quanto repentino e inaspettato possa apparire l’episodio, in realtà, alcuni segnali di tensione tra i due stati si erano già manifestati. Poco prima, infatti, il personale diplomatico messicano è stato portato via dalla sede di Quito, scortato dai funzionari di ambasciata di Cuba, Germania, Panamá e Honduras. L’irruzione della polizia ecuadoregna ha generato conseguenze di portata notevole, prima fra tutte la rottura delle relazioni diplomatiche tra i due stati.

Immagine dell’assalto mosso dalla polizia ecuadoregna all’ambasciata (credits: Wikimedia Commons)

La dura risposta del Messico è arrivata il giorno successivo all’attacco, con la dichiarazione della Ministra degli esteri Alicia Bàrcena, che ha affermato che lo stato presenterà il ricorso alla CIG, la Corte Internazionale di Giustizia per la gravità dell’accaduto. Lo stesso presidente messicano Andrés Manuel Lòpez Obrador ha aspramente criticato l’intervento ecuadoregno, muovendo l’accusa di “flagrante violazione del diritto internazionale e della sovranità del Messico”.

Le critiche non hanno tardato ad arrivare anche dai pulpiti internazionali. L’Organizzazione degli Stati americani, la stessa Argentina dell’ultraliberista Milei e i governi di sinistra dell’America Latina si sono accodati al giudizio fortemente negativo espresso dell’Unione Europea. A tale proposito, Il Segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres ha espresso la sua forte preoccupazione per l’accaduto e il suo significato. La violazione dello status delle sedi diplomatiche rappresenta “una chiara minaccia alle relazioni internazionali”.

09 aprile: Svizzera – dopo due anni arriva la storica sentenza della CEDU

Sebbene la lotta al cambiamento climatico sia ormai sempre più spesso considerata un fenomeno di interesse giovanile, oggi, la grande rivoluzione è stata compiuta dagli anziani, anzi, dalle anziane. La notizia ha fatto presto il giro del mondo, non solo per gli echi che produrrà l’esito della sentenza ma, soprattutto, per le mandatarie del ricorso.  

Nel 2020, infatti, l’associazione Senior Women for Climate Protection Switzerland, un gruppo di più di 2.500 attiviste dalla generosa età supportate da Green Peace Switzerland, ha deciso di presentare un ricorso alla CEDU (la Corte Internazionale per i Diritti dell’Uomo), per incriminare il proprio stato. Secondo l’accusa, il governo svizzero non si sarebbe impegnato a sufficienza per raggiungere gli obiettivi green prefissati, atti a scongiurare un aumento della temperatura media globale oltre 1,5°. In questo caso dunque, non sarebbero stati rispettati i diritti umani dei cittadini.

Attiviste di Klima Seniorinnen Schweiz durante una manifestazione (credits: Wikimedia Commons)

Per questa ragione, il gruppo di attiviste avrebbe deciso di presentare il ricorso alla CEDU. Si tratta di un caso eccezionale, un punto di svolta nella lotta al cambiamento climatico. È, infatti, il primo caso nella storia dove la CEDU si trova a difendere direttamente le istanze climatiche.

Sì: difendere, perché la CEDU ha dato ragione alle attiviste, accusando in via definitiva e inappellabile la Svizzera per il suo inadempimento, andando a stabilire nuovi e più stringenti requisiti specifici che gli stati dovranno soddisfare per rispettare i propri obblighi in materia di diritti umani. Proprio in questo sta la grande rivoluzione della sentenza: essa potrebbe influenzare le politiche di tutti e 32 i paesi membri della Convenzione di Vienna, portandoli ad un maggiore attenzione al tema e alla produzione di politiche più efficaci.

09 aprile: Continua la crisi in Sudan – l’incessante esodo degli sfollati

Uno dei confini delle aree di maggiore conflittualità in Sudan (credits: Wikimedia Commons)

Il protrarsi del conflitto in Sudan, ad oltre un anno di distanza dal suo inizio, ha fatto emergere con grande violenza tutta la difficoltà della comunità internazionale nel fronteggiare il problema degli sfollati. Il Sudan e tutti i paesi limitrofi stanno infatti vivendo una delle più grandi crisi umanitarie della storia moderna. Il protendere del conflitto ha fatto sì che entrassero in crisi tutti i sistemi di assistenza posti in atto dai principali Stati-meta dei rifugiati e dall’UNHCR, l’Agenzia ONU per i Rifugiati.

Stando alle ultime stime, il numero totale degli sfollati ha ormai superato gli 8,5 milioni, quantità enorme di civili che si è ritrovata smarrita. Il conflitto, inoltre, trascina con sé una serie di ulteriori conseguenze che aggravano la situazione dei rifugiati. Infatti, sono state numerose le registrazioni di casi di attacchi ai civili, violenze sessuali di ogni genere e altre violazioni del diritto umanitario internazionale e dei diritti umani. La situazione peggiora ulteriormente con le difficoltà che la risposta umanitaria occidentale sta riscontrando: i limiti di accesso, la pericolosità di determinate aree di conflitto hanno portato ad una serie di barriere logistiche, che hanno rallentato il percorso degli aiuti.

Nonostante la lista di paesi che sta cercando di fare il possibile sia ampia, l’impossibilità di continuare seguendo queste strategie operative si è palesata sotto gli occhi della comunità internazionale. Inoltre, i fondi elargiti all’UNHRC sono insufficienti, motivo per il quale, quest’ultima, appellandosi alla comunità internazionale, ha espresso la necessità di una risposta più tempestiva, nonché di un flusso maggiore di fondi in vista di un impegno più marcato e concreto.

10 aprile: I tempi di pace sono finiti – la Russia torna a cavalcare il sogno del controllo dell’Artico

Nel suo discorso tenuto durante l’ultima parata della marina militare russa, Putin ha riportato l’attenzione, dopo più di un decennio di relativo silenzio, sulla zona dell’Artico. In questa occasione il presidente russo ha dichiarato l’ambizione di voler attuare una nuova politica marittima atta a restituire alla Russia il suo status di grande potenza navale, sulla base dell’impellente necessità quella di “difendere l’interesse nazionale ad ogni costo”.

Il principale obiettivo che rientra nell’insieme di politiche marittime è proprio l’Artico. L’interesse russo per questa zona non è una novità, più volte in passato è stata oggetto delle mire espansionistiche prima sovietiche e poi russe. Il tutto ha avuto un punto di svolta nel 2007 con il piazzamento, da parte di un gruppo di sommozzatori russi, di una bandiera nei fondali artici. Manovra che inizialmente non ha riscosso grandi interessi internazionali ma che ha consentito alla Russia di agire nel silenzio per oltre dieci anni, arrivando a controllare militarmente più della metà del territorio artico.

La principale base militare russa in territorio artico (credits: Wikimedia Commons)

L’Artico rappresenta un’area di notevole interesse strategico sotto numerosi punti di vista, primo fra tutti quello delle risorse. Si stima che vi si trovino 17,3 miliardi di tonnellate di petrolio e più di 81 miliardi di metri cubi di gas naturale. Tutte risorse che, ora più che mai, a fronte dell’estenuante prolungamento del conflitto in Ucraina, risultano fondamentali. Con ogni probabilità, infatti, è stata proprio la variante della guerra a far riaffiorare l’interesse prioritario del controllo totale dell’area, finora gestito senza grandi intralci in maniera congiunta con la NATO

La dichiarazione di Putin ha ovviamente allarmato la comunità internazionale che, in caso di controversie, si troverebbe fortemente svantaggiata sul piano militare, avendo attualmente dispiegate nell’area solamente un terzo delle forze armate russe.

11 aprile: Una frode costata la vita

Corte suprema popolare del Vietnam (credits: Wikimedia Commons)

Truong My Lan è stata condannata a morte per il suo coinvolgimento nel più grave scandalo finanziario nella storia del Vietnam. Truong, 67 anni, è una delle donne più ricche del paese. Arrestata l’ottobre scorso, era accusata di essere responsabile di una frode da circa 25 miliardi di euro (pari al 6% del PIL nazionale del 2023), ai danni di 42 mila risparmiatori della Saigon commercial bank, controllata dall’azienda immobiliar Van Thinh Phat, di cui Lan è la proprietaria.

Il processo, durato circa un mese, ha visto tra gli imputati anche ex funzionari della banca centrale, ex membri del governo e dirigenti della banca; solo per Truong la procura aveva richiesto la pena di morte, motivando la scelta con la gravità del caso, accusando la donna di essere la mente di uno schema di associazione a delinquere capace di usare metodi così sofisticati da rendere impossibile il recupero del denaro.

11 aprile: L’Europarlamento riconosce l’aborto come diritto delle donne

Cartelli ad una manifestazione pro-aborto (credits: Wikimedia Commons)

Con 336 voti a favore, 163 contrari e 39 astensioni, l’Europarlamento ha approvato una risoluzione non vincolante che chiede al Consiglio UE di inserire il diritto all’aborto nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Nella risoluzione inoltre viene manifestata preoccupazione e “condanna per la regressione” nel campo dei diritti delle donne e “in tema di parità di genere a livello globale e anche in diversi Stati membri UE“. 

I Paesi comunitari vengono inoltre esortati a “depenalizzare completamente e a rimuovere e combattere gli ostacoli all’aborto“, invitando in particolare Polonia e Malta ad abrogare le loro leggi che lo vietano e lo limitano. Mentre in Italia, la risoluzione sostiene che l’accesso all’assistenza all’aborto sta subendo erosioni.

Si tratta di un processo lungo, ma è stato molto importante approvare questa risoluzione, che considera la possibilità di aborto come un diritto umano di ogni persona“,  ha aggiunto Alessandra Moretti, europarlamentare del Partito Democratico, riferendosi alla possibilità che in futuro tutti gli Stati membri siano obbligati a garantire il diritto all’aborto e al  libero accesso alla salute sessuale riproduttiva.

12 aprile: Gli effetti del cambiamento climatico tra Russia e Kazakistan

Inondazioni in Kazakistan (credits: Wikimedia Commons)

Una serie di condizioni metereologiche ha innescato gravi inondazioni in diverse regioni del Kazakistan e della Russia, con conseguenze gravi per le popolazioni locali. Un’improvvisa ondata di calore ha portato a uno scioglimento massiccio della neve, causando l’esondazione di numerosi fiumi e mettendo in seria difficoltà le aree colpite. Nella città russa di Orenburg il livello dell’acqua del fiume Ural è arrivato a 11,43 metri, in alcuni quartieri lasciando scoperti solo i tetti delle case.

Le autorità della vicina regione di Tjumen hanno avvertito che anche il livello dei fiumi Išim e Tobol continua a salire. La situazione è molto difficile anche nelle regioni di Kurgan e Tomsk e in Kazakistan, dove ben dieci regioni si sono viste costrette a dichiarare lo stato di emergenza a seguito delle devastanti inondazioni che hanno colpito soprattutto il nord-ovest del paese.

In Kazakistan, circa centomila persone sono state costrette a lasciare le loro case, secondo le autorità, aggiungendosi alla già lunga lista di migranti climatici. Le alluvioni sono state causate dalle forti piogge degli ultimi giorni e dalle temperature superiori alla media. Secondo gli scienziati, il riscaldamento globale sta aumentando la frequenza e l’intensità degli eventi meteorologici estremi, tra cui le alluvioni.

12 aprile: Le proteste dei giornalisti

Logo della Rai (credits: Wikimedia Commons)

La Rai, già attraversata da un moto di protesta interno per il possibile addio di Amadeus, deve ora affrontare anche i giornalisti dell’azienda, i quali si oppongono fermamente all’emendamento approvato nei giorni scorsi dalla Commissione parlamentare di Vigilanza Rai che modifica il funzionamento della cosiddetta “par condicio”. 

La par condicio (che significa “uguale condizione”) è un complesso sistema di regole, introdotto nel 2000 dall’allora governo di centrosinistra di Massimo D’Alema per arginare il potere mediatico di Silvio Berlusconi esercitato nel periodo di elezioni attraverso la società televisiva Mediaset. Con un comunicato letto alla fine delle edizioni serali di Tg1, Tg2 e Tg3, le redazioni delle testate Rai hanno espresso il proprio punto di vista contro la “maggioranza di governo che  “ha deciso di trasformare la Rai nel proprio megafono“, come recita il comunicato UsiGrai.

La riformulazione del testo proposta – e in seguito approvata – da Fratelli d’Italia, Lega e Noi Moderati stabilisce che in periodo di campagna elettorale nei programmi di informazione non saranno previsti vincoli di tempo per politici e candidati, a patto che parlino della loro attività istituzionale. In considerazione della concreta possibilità che tra i candidati ci siano esponenti dell’esecutivo, tra cui la stessa Meloni e Tajani, è verosimile pensare che questa variazione avvantaggi la maggioranza, il che spiega le proteste da parte delle opposizioni, che hanno votato contro questo emendamento.

13 aprile: L’attacco iraniano a Israele

Momento di lancio di uno dei missili iraniani diretto in Israele (credits: Wikimedia Commons)

L’Iran ha scagliato un attacco contro Israele, con centinaia di droni, missili balistici, missili da crociera, lanciati anche dallo Yemen e dal Libano. A confermarlo è anche il Pentagono, mentre Joe Biden è rientrato a Washington per seguire l’evolversi degli eventi. Gli Stati Uniti hanno ribadito il loro totale sostegno a Israele, contribuendo all’operazione di difesa, assieme alla Gran Bretagna, alla Giordania e l’Arabia saudita.

Mentre i missili raggiungevano il territorio israeliano, a protezione dello stato ebraico si è creata una coalizione inedita, permettendo di respingere il 99% degli attacchi. Le conseguenze dell’attacco sono dunque state limitate: un bambino è stato gravemente ferito da una scheggia e una base militare nel sud di Israele ha subito leggeri danni. Gli israeliani hanno trascorso ore nei rifugi per mettersi al riparo dai missili, che non sono stati indirizzati soltanto verso Tel Aviv, abituata agli attacchi, ma anche a Gerusalemme, una linea rossa. 

Questa sera è stato convocato il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, dopo la richiesta avanzata per lettera da Israele a seguito dell’attacco. L’ambasciatore iraniano all’ONU, Amir Saed Iravani, nel frattempo ha scritto al Segretario generale Guterres, giustificando l’attacco in quanto rientrerebbe “nell’esercizio del diritto intrinseco dell’Iran all’autodifesa, come delineato nell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, e in risposta alle ricorrenti aggressioni militari israeliane, in particolare all’attacco armato del 1° aprile 2024 contro le sedi diplomatiche iraniane, a dispetto dell’articolo 2, paragrafo 4 della Carta delle Nazioni Unite”.